«I pugni si danno, i pugni si prendono. Questa è la boxe, questa è la vita. E io nella vita ne ho presi tanti di pugni, veramente tanti… ma lo rifarei, perché tutti i pugni che ho preso sono serviti a far studiare i miei figli.» (Primo Carnera)
Quella sera al Madison Square Garden il piccolo Rocco è seduto in prima fila, tra papà Pierino e lo zio Mike, quando fuori di sè dalla felicità, dall’entusiasmo e dalla trepidazione si alza come un invasato per scattare più rapido di un fulmine verso l’angolo del ring e urlare alle spalle del suo campione “Carnera, Carnera, io sono italiano, come te!”
Si è svenato per quei posti in prima fila, papà Pierino, perché una promessa è una promessa e ancor di più quella fatta a suo figlio, da poco scampato alla polmonite: farlo assistere dal vivo ad un combattimento del suo grande (enorme) idolo.
https://www.youtube.com/watch?v=X-GFaaG9jOY#t=122
(Rivivi il travolgente rapimento di Rocco: chiudi i tuoi occhi adulti e immagina di ritornare bambino e riaprili spalancati mentre sei vicino alle corde e inciti con ardore il tuo eroe che lotta per trionfare, le urla del pubblico ti assordano, il cuore ti batte forte in gola, vorresti saltare sul ring e menare, schivare, e menare ancora con tutta la forza che hai.)
Il modo in cui come bambini ci immergiamo estatici in ciò che diventerà la nostra passione è di un tale e totale coinvolgimento che ci può cambiare il destino per sempre, lo sapevi?
«Questo è l’uomo più forte del mondo, un gigante, italiano come te. Si chiama Primo Carnera ed è un pugile. Tu devi essere fiero di appartenere alla sua stessa stirpe. Una stirpe di lottatori, fieri e forti.»
Quel gigante friulano di cui aveva finora ritagliato tutte le cronache dei combattimenti raccontate sui giornali, lo prende anche in braccio al termine di quel trionfale incontro e gli sussurra con voce profonda e pacata: “Bravo ragazzo, sii sempre orgoglioso di essere italiano».
Cosa avrà pensato in quel momento quel ragazzino che non riesce a staccare lo sguardo da Carnera? Deve averlo intuito solo lo zio Mike, perché un giorno, diversi anni dopo, gli dirà: «Io lo sapevo, sì, l’ho sempre saputo Rocco, te l’ho letto negli occhi.»
Quegli occhi, quegli occhi combattivi, eccoli qui venti anni dopo, ma cosa li infiamma ad avventarsi così sull’uomo nero coi pantaloncini neri pure loro?
Per saperlo dobbiamo ritornare indietro ai primi anni 30, gli anni dei trionfi di Carnera, gli anni in cui la vita è veramente dura per i pugili di colore come Joe Louis. Ogni volta che provano a sfidare un bianco si scatenano i peggiori umori di un Paese che ha accettato a malapena la fine della schiavitù, ma che ancora non gradisce la parità dei diritti tra persone dal diverso colore della pelle.
La sfida tra Carnera e Louis ha qualcosa di diverso dalle altre. Da una parte c’è un aitante ventunenne nero emergente, bello ed elegante, raffinato tanto da essere dedito allo sport d’elite per eccellenza, il golf. Dall’altra, un colosso trentenne diventato leggenda, un emigrato ormai quasi americano, il perfetto esempio della superiorità fisica dei bianchi.
Due diretti splendidi, prima il destro poi il sinistro, da manuale. La sera del 15 luglio 1935 il gladiatore italiano è a terra, si risolleva ma non ce la fa più ad essere massacrato. L’arbitro riesce a percepire a malapena la sua supplica, uscita dalla bocca devastata e gorgogliante sangue, e senza indugio ferma il combattimento. Louis ha vinto.
Rocco, dodicenne, è di nuovo tra il pubblico e la faccia devastata e gonfia come una mongolfiera di Carnera lo sconvolge nel profondo.
Guarda a lungo Louis con rancore Rocco, per aver umiliato il suo idolo, perchè Louis era troppo giovane per mandare al tappeto una leggenda, perchè la fierezza di un italiano con gli occhi dolci come Primo non doveva essere spenta e mortificata così.
La promessa che fa a se stesso in quel momento lo trasforma in Rocky Marciano, il vero Rocky.
Rocky debutta professionista nel 1947, a 24 anni, lo stesso anno in cui Louis difende, per la venticinquesima volta, il proprio titolo mondiale dei pesi massimi conquistato dieci anni prima.
E’ un toro di 85 Kg alto 1.78, due magli potentissimi al posto dei pugni e manager senza scrupoli che di tanto in tanto gli trafugano gli incassi e lo spingono a combattere ancora ed ancora.
Il 26 ottobre del 1951 Rocky si rimette davanti agli occhi l’immagine di Primo Carnera esanime e sanguinante, si ricorda dalla promessa di quel momento e sale sul ring a mantenerla.
https://www.youtube.com/watch?v=h9N8IxjNwaw
A sedici anni, quattro mesi e un giorno da quella promessa, il conto è chiuso.
Joe Louis si ritira dalla boxe. Quel ragazzo che Carnera aveva sollevato in aria davanti a settantamila persone, per salutare ed onorare tutti gli italiani d’America, lo ha “vendicato” sportivamente.
Da vero campione esemplare, negli anni Marciano ha trasformato in un suo idolo lo stesso Louis come lo è da sempre Primo Carnera, infatti dopo l’incontro nasce tra i due un’amicizia sincera, che porta Rocky ad aiutare il vecchio campione caduto in disgrazia dopo il ritiro, sia a livello di salute che di finanze. L’ex eterno avversario è il primo vero amico.
Rocco si ritira dopo sei vittorie come campione del mondo dei pesi massimi nel 1955: l’unico pugile imbattuto nella storia del pugilato è italiano.
P.S. E’ una fiaba vera ed è narrata da emozioni vere, quelle che ci spingono ad avere ambizioni e a soffrire per realizzarle. Quelle che possono farci sognare di diventare il numero uno in ciò che ci appassiona e ci fanno lottare con onore e lealtà per dimostrarlo innanzitutto a noi stessi. Quelle in cui il vero avversario da sconfiggere è la parte peggiore di noi, quella che non ci vuole convinti, impegnati, concentrati e che non ci vuole far rialzare più forti di prima quando siamo al tappeto. E mi raccomando, accettate solo grandi ed importanti sfide, parola di Rocky.